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Ad opponendun: la FNOPI e la scelta di schierarsi in giudizio a favore dell’assistente infermiere

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    CNAI - Prof_inf.
  • 26 set
  • Tempo di lettura: 5 min

Uno scenario inedito nel panorama professionale che solleva importanti questioni di opportunità e di rappresentanza



In questi giorni, ho appreso dai media con profondo sconcerto dell’atto “ad opponendum” depositato dalla FNOPI presso il TAR del Lazio contro il ricorso del Sindacato Nursing Up riguardante l’introduzione dell’Assistente Infermiere, disciplinata dal DPCM 28 febbraio 2025.

Con questo atto, la FNOPI ancora più apertamente si è schierata a sostegno del provvedimento approvato dalla Conferenza Stato-Regioni, di creazione dell’Assistente Infermiere, pubblicato con DPCM a seguito della tornata contrattuale nello scorso giugno. Ha assunto una posizione pubblica contro un Sindacato infermieristico impegnato a difesa della professione e del profilo, nel suo ricorso contro l’Assistente infermiere.

Si tratta di uno scenario inedito nel panorama professionale nazionale ed internazionale, che solleva importanti questioni di opportunità e di rappresentanza. Di fatto, l’ente regolatore si è posto a difesa della nuova figura ibrida di Assistente infermiere, estranea al personale infermieristico iscritto agli Albi ed a coloro che versano le quote obbligatorie di finanziamento delle strutture ordinistiche.

Contemporaneamente con questo atto, la FNOPI sembra voler rivendicare per sé la rappresentanza esclusiva della professione infermieristica.

Tuttavia, vale bene ricordare che la maggioranza delle organizzazioni sindacali (FP CGIL, UIL FLP, NURSING UP, FIALS, FSI-USAE, CONFINTESA, USB, UGL, COINA, e con loro le rappresentanze OSS, MIGEP e SHC OSS), le principali associazioni e società scientifiche infermieristiche hanno espresso ferma opposizione e soprattutto oltre 17.000 infermieri hanno ulteriormente firmato una petizione contro questo provvedimento.

Prende corpo con crescente vigore e preoccupazione il fondato timore che il dissenso proveniente da una cospicua parte della comunità professionale, avversa al provvedimento, continui a non ricevere da parte ordinistica, la dovuta considerazione. Ancor più gravemente, fa male il solo pensare che si possa ipotizzare di silenziare o depotenziare la libera espressione di sindacati, società scientifiche, associazioni e voci accademiche dissenzienti.

Giova ricordare e rendere chiaro a chi potrebbe averlo dimenticato: nella nostra architettura costituzionale della Repubblica la funzione pubblicistica attribuita agli Ordini (D.Lgs.C.P.S. 233/1946, novellato dalla L. 3/2018) non conferisce alcun monopolio sulla rappresentanza degli interessi infermieristici, nemmeno in ambito giudiziale.

La giurisprudenza amministrativa consolidata riconosce la legittimazione ad agire a tutti i portatori di interessi qualificati e differenziati, specialmente quando gli atti ridefiniscono profili professionali, formazione, responsabilità, organizzazione e sicurezza delle cure. Sindacati, associazioni e società scientifiche possono rappresentare legittimamente istanze diverse ma complementari connesse alla professione.

L’intervento della FNOPI, con questa posizione “ad opponendum” a favore di una figura, da ritenere esterna al perimetro infermieristico, potrebbe per molti apparire in contrasto con il ruolo primario dell’Ordine di tutelare il cittadino e la professione infermieristica. Questa scelta sembra virare verso un allineamento - a tutto tondo - di chi assolve la posizione istituzionale - con la linea politico-governativa, a discapito della tutela del pluralismo professionale. Un approccio che desta perplessità, che impoverisce il confronto, specialmente alla luce della bassissima affluenza alle elezioni ordinistiche (media nazionale intorno al 5%, con numerose province con percentuali inferiori all’uno per cento) che segnala una distanza tra la base e i vertici ordinistici e testimonianza inequivocabile della crisi dell’attuale modello elettivo.

Taluni forse dimenticano anche che l’Italia soffre una carenza di oltre 150.000 infermieri rispetto alla media europea (OECD 2024, WHO 2025). Siamo tra i Paesi OECD con una tra le più basse densità di personale infermieristico, deficit aggravato da decenni di scelte miopi. Gli stessi enti ordinistici che contribuiscono alla determinazione del numero chiuso, sono stati - per norma - in misura minima partecipi e co-protagonisti nelle scelte che hanno portato a questa situazione nel corso del tempo.

Il presente italiano è segnato da un paradosso storico e desolante. Per la prima volta in assoluto, le aule destinate alla formazione infermieristica rischiano di rimanere vuote, con un numero di candidati alle prove di ammissione in caduta libera, ben al di sotto della soglia dei posti disponibili. Eppure, in questo stesso scenario di crisi, si assiste a una decisione senza precedenti in tutto il mondo: quella di espandere a dismisura la platea dei futuri medici. Si è dato corso a un surplus di oltre 4.000 accessi l’anno, pianificando una forza di 24.000 studenti di medicina contro una coorte infermieristica che stenta a raggiungere le 20.000 unità. Il tutto, in un contesto dove la penuria medica non è sistemica, ma confinata a circoscritte aree di specializzazione.

Al contempo, mentre si perpetuano cospicui investimenti a favore della classe medica, un silenzio assordante e una paralisi programmatica avvolgono il futuro della professione infermieristica.

In questo contesto drammatico, viene da chiedere legittimamente se l’introduzione dell’Assistente Infermiere possa rappresentare un meccanismo volto alla sostituzione funzionale degli infermieri generalisti con personale meno formato e meno retribuito, un pericoloso palliativo low-cost che abbassa la qualità dell’assistenza, dequalifica la professione e compromette la sicurezza dei pazienti, e perché l’Ordine non si opponga a tale prospettiva ma per converso la sostenga con vigore.

A questo, si aggiunge la fumosa complessità del provvedimento anche in termini di attività rimesse a questi operatori, con continui rimandi ad attività supervisionate e attribuite: ma chi supervisionerà “davvero” gli Assistenti Infermieri? Gli infermieri che non abbiamo? Le responsabilità professionali dell’Assistente infermiere saranno poste in capo agli Infermieri? Come si coincilia questa figura con l’attuale legislazione?  

La Direttiva 2013/55/UE stabilisce inequivocabilmente un percorso formativo minimo di 4.600 ore per l’infermiere responsabile dell’assistenza generale. L’Assistente Infermiere cui vengono conferite una serie di attività di natura infermieristica, con sole 500 ore formative (parzialmente online), viola manifestamente la normativa europea, creando un doppio regime assistenziale non previsto ed esponendo l’Italia a possibili concrete procedure d’infrazione. E non interviene minimamente sulla annosa piaga del demansionamento.

Consentire poi a tali operatori attività quali somministrazione farmacologica intramuscolare/ sottocutanea, esecuzione ECG, aspirazione tracheale, gestione delle stomie, e tanto altro previsto dal Decreto significa ignorare colpevolmente la complessità clinica di procedure che richiedono competenze e capacità di gestire complicanze potenzialmente letali. Le linee guida internazionali prescrivono formazione aggiuntiva per la gestione delle stomie e delle lesioni cutanee: ridurre questi standard va contro l’interesse degli infermieri e dei cittadini.

La European Federation of Nurses Associations (EFN), rappresentante di 3 milioni di infermieri europei, in sostegno della CNAI, ha formalmente dichiarato a settembre 2024 che l’Assistente infermiere non rispetta e non è in linea con gli standard europei. Allo stesso tempo, interpretare la Direttiva Delegata UE 2024/782 come una legittimazione per queste figure appare una lettura che non condividiamo e che non appare in linea con la valorizzazione infermieristica.

La letteratura scientifica internazionale (Aiken, Griffiths, Dall’Ora) dimostra inequivocabilmente: sostituire personale qualificato come gli infermieri laureati e con 4600 ore di formazione con personale sottoqualificato e sottodimensionato aumenta mortalità ospedaliera, complicanze e costi. La sicurezza dei pazienti non si garantisce con slogan o formazione accelerata. La presunta “modernizzazione” attraverso l’Assistente Infermiere maschera una pericolosa frammentazione assistenziale: perdita di continuità, moltiplicazione degli errori, deresponsabilizzazione e incremento del rischio clinico. Studi recenti (Stalpers, Darbyshire) documentano il fenomeno del “mission creep”: figure intermedie progressivamente chiamate a svolgere compiti complessi senza adeguata preparazione, esponendo pazienti e operatori a rischi inaccettabili.

Non da ultimo i rischi dell’Assistente Infermiere, sono concreti e immediati:

  • Per lo Stato italiano: probabile procedure di infrazione UE e possibile danno reputazionale;

  • Per i pazienti: incremento documentato di complicanze e mortalità;

  • Per il sistema sanitario: frammentazione irreversibile dell’assistenza infermieristica generalista, senza formalizzazione di competenze specialistiche/avanzate;

  • Per la professione: definitiva perdita di attrattività con conseguente collasso del sistema

La salute pubblica non può essere sacrificata a logiche di risparmio miope: l’articolo 32 della Costituzione impone il massimo livello di tutela sanitaria, non il minimo denominatore economico.

La CNAI continuerà a sostenere ogni azione volta a fermare questo provvedimento e ribadisce la disponibilità a collaborare con le Istituzioni per arrivare a soluzioni che rispettino gli standard europei, valorizzino la professione infermieristica e garantiscano realmente la sicurezza dei pazienti italiani.

Walter De CaroPresidente Nazionale CNAIMail: w.decaro@cnai.pro

 
 
 

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