
In un clima di emergenza sanitaria, in Regione Lombardia si è discusso su una misura controcorrente, prevista dall’accordo stato regioni dello scorso 3 ottobre, avversato da tutte le organizzazioni Sindacali (tranne due, insieme agli ordini), dalle maggiori società infermieristiche e dalla Federazione Europea degli infermieri: l’introduzione della figura dell’assistente infermiere.
Durante un evento tenutosi alla Sala Pirelli, organizzato e voluto dalla Consigliera Regionale Carmela Rozza, l’assessore regionale al Welfare, Guido Bertolaso, ha sottolineato la drammatica carenza di personale infermieristico, evidenziando che negli ospedali mancano almeno 2.000 infermieri e che, a livello nazionale, oltre 110.000 professionisti abbandoneranno il sistema sanitario tra il 2023 e il 2033. Tuttavia, l’istituzione dell’assistente infermiere solleva numerosi interrogativi e timori, che meritano un’analisi critica approfondita.
La Nuova Figura tra Infermiere e OSS: Un Compromesso Inadeguato.
La misura, formalizzata con l’introduzione della figura dell’assistente infermiere, si propone di colmare il vuoto lasciato dalla carenza di infermieri. Il ruolo, concepito come una nuova figura ibrida tra l’infermiere (laureato) e l’operatore socio-sanitario (OSS), prevede una formazione di 500 ore, in parte erogata con modalità didattica a distanza (FAD). Tuttavia, questa formazione breve rischia di essere insufficiente a garantire le competenze necessarie per svolgere compiti clinici complessi come l’esecuzione di elettrocardiogrammi, la gestione della nutrizione artificiale o la cura di pazienti con stomie.
Allo stesso tempo non risolve in nessun modo il problema del demansionamento, molto attenzionato anche dai Sindacati. Va infatti a portare ad una gestione diversa di talune tecniche finora proprie solo degli infermieri, affidandole ad OSS maggiormente formati
In questo evento, la CNAI con il Presidente Walter de Caro ha avuto l’opportunità di partecipare ed ha evidenziato non solo una forte carenza di infermieri, ma anche una serie di critici impatti conseguenti all’introduzione di una figura meno specializzata. Tra le principali preoccupazioni, spiccano:
Minaccia alla sicurezza dei pazienti:
• Affidare funzioni infermieristiche a personale non adeguatamente formato aumenta il rischio di errori e compromette la qualità dell'assistenza, mettendo a repentaglio la sicurezza dei pazienti.
Inquadramento giuridico ambiguo:
• La mancanza di una chiara definizione giuridica e contrattuale, il continuo rimando a supervisione, collaborazione, attribuzione, genera confusione e potenziali problemi legali nella gestione delle attività cliniche, senza risolvere il problema del demansionamento.
Formazione inadeguata:
• Il percorso formativo previsto post-OSS, di sole 500 ore (in parte in FAD), è insufficiente a garantire le competenze necessarie per svolgere funzioni infermieristiche, anche in contesti complessi come la cronicità.
Rischio di sostituzione:
· L'attribuzione di attività infermieristiche a figure con una formazione inferiore rischia di snaturare l'assistenza infermieristica nel suo complesso, sostituendo indebitamente tale professionalità.
Disparità regionali:
• La gestione della figura dell'Assistente infermiere (come degli OSS) affidata alle Regioni potrebbe creare ulteriori disuguaglianze nelle modalità di formazione, nell'accesso alle cure e nell'attrattività della professione, senza appropriati meccanismi di verifica e controllo
Una Scelta non perseguibile derivata dalla crisi in atto in alcuni settori.
Il problema della carenza infermieristica non si riduce semplicemente al quantitativo di personale, ma coinvolge aspetti strutturali legati alla formazione e alla valorizzazione economica della professione. Le università lombarde stanno lottando per riempire i posti disponibili, e nelle sedi pubbliche si registrano adesioni inferiori alle attese ed il gap tra domanda e offerta rimane preoccupante. Pur tuttavia nessuna volontà di investimento è apparsa finora come l’azzeramento delle tasse universitarie, le agevolazioni di housing per consentire a studenti di fuori regione di studiare nelle università, le politiche di apprentship e di ritorno/accesso da altre professioni sanitarie alla professione infermieristica.
La prevista liberalizzazione delle posizioni per studiare “medicina e chirurgia” porterà ad una cannibalizzazione della professione infermieristica con un prevedibile – senza adeguati correttivi - sicuro non aumento dei posti a bando e dei candidati.
Carmela Rozza, Consigliera regionale e infermiera e tutti gli interventuti, hanno espresso forti riserve su questo provvedimento: non è possibile liquidare il lavoro degli "eroi del Covid" creando una nuova figura percepita come un downgrade del profilo infermieristico, con una retribuzione inferiore (anche se appena 50 euro in meno rispetto a quella di un infermiere laureato) e adattabile solo in parte alle esigenze sanitarie complesse.
Tra Progetto Pilota e Revisione delle Strategie
Il progetto pilota previsto per un’Asst in Lombardia, annunciato dall’Assessore Bertolaso, che dovrebbe prevedere l’utilizzo dell’assistente infermiere nelle aree non urgenti e complesse – quali la gestione della cronicità, della disabilità e delle dipendenze patologiche – si pone come una risposta temporanea alla crisi.
Si ritiene che nella fase di sperimentazione la presenza di queste figure vada attentamente valutata sia per la necessaria attività di supervisione infermieristiche di fatto prevederebbe l’inserimento di una ulteriore unità sanitaria.
Tuttavia, la critica principale resta la possibilità che questa soluzione diventi un pretesto per ridurre ulteriormente il personale qualificato, aggravando il fenomeno già esacerbato della fuga di infermieri e peggiorando la qualità dell’assistenza.
Un confronto utile emerge anche guardando ad altri modelli europei, come quello inglese: un percorso biennale (sempre in università, e non in in strutture differenziate da regione e regione) oltre alla laurea quadriennale (la ns. laurea triennale) che consente step professionali progressivi, dove la formazione è al centro del sistema e si associano migliori condizioni retributive e opportunità di crescita professionale, anche con la capacità prescrittiva farmacologica degli Infermieri e l’autonomia crescente nelle scelte di ammissione e dimissioni da strutture sanitarie.
Non si risolve la questione infermieristica con lauree magistrali,
vuote di possibilità concrete di incidere clinicamente nel percorso assistenziale, se non nella parte dei processi.
Solo migliorando sostanzialmente la formazione, rendendo gli stipendi adeguati alle nazioni cui dobbiamo far riferimento, e offrendo continui percorsi volti a garantire benessere lavorativo al personale e prospettive di carriera, si potrà evitare una spirale di demotivazione e burnout tra gli infermieri.
Conclusioni
L’introduzione dell’assistente infermiere in Lombardia ed in Italia, appare come una soluzione controproducente in risposta a un problema strutturale.
Da un lato si cerca di ridurre il vuoto causato dalla carenza di personale, dall’altro si rischia di compromettere ulteriormente la qualità dell’assistenza sanitaria e di demotivare gli infermieri già in campo, con la seria possibilità di aumento della mortalità evitabile.
Euro su Euro, bisogna investire in formazione e in migliori condizioni lavorative rappresenta la vera strategia per garantire una sanità di qualità, dove ogni paziente riceva la cura adeguata e ogni infermiere possa operare al massimo delle proprie competenze senza il timore di essere sostituito da personale meno qualificato.
L’emergenza infermieristica, quindi, non si risolve con figure ibride e soluzioni derivate, ma con il riconoscimento del valore specifico della professione infermieristica, accompagnato da un adeguato supporto in termini di formazione, retribuzione e prospettive future
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